PAURA, TRISTEZZA, FIEREZZA, SPERANZA… I PENSIERI DI UN’OPERATRICE SANITARIA AL RIENTRO DALLA CORSIA
18 marzo 2020
Diamo spazio alla testimonianza diretta di un’operatrice che lavora al Morelli di Sondalo; potrebbe chiamarsi Anna, Monica, Laura, Irene… non conta l’identità, bensì il racconto del suo vissuto in prima persona, nei reparti dove si accolgono gli ammalati di Covid-19. Ci dimostra le difficoltà in cui gli operatori sanitari si trovano catapultati a causa di questa pandemia, la consapevolezza dei propri limiti, lo strazio per le situazioni vissute… ma soprattutto ci mostra l’umanità che alberga in ciascuno di loro, persone come noi, che però si trovano ad affrontare situazioni drammatiche sia dal punto di vista professionale sia emotivo. L’unico modo che abbiamo per aiutarli sul serio, è rispettare le regole!
Anna
In questi giorni difficili sono confortata dai messaggi quotidiani che tanti amici mi mandano per sapere “come stai?”; ma anche se molti ci definiscono degli eroi, i veri amici sanno che stiamo svolgendo il nostro lavoro come prima, con lo stesso amore, dedizione e attenzione dimostrati giorno per giorno, anno per anno.
Siamo solo più stanchi; non è una stanchezza fisica ma soprattutto mentale perchè le nostre certezze quotidiane – lavorative e non – sono state stravolte! Lavoriamo con patologie, attenzioni e condizioni completamente diverse e non ho timore di dire che anche noi abbiamo PAURA, anche se cerchiamo di scrollarcela di dosso e andare avanti. Non è certo facile, perché tutti noi siamo consapevoli (oggi più che mai) che al posto del malato di oggi ci potremmo essere noi domani, e noi sanitari abbiamo ben impresso tutto l’iter e soprattutto conosciamo tutte le complicanze a cui possiamo andare incontro.
Quando finisco il turno e ritorno a casa, si affacciano alla mente la paura e i pensieri. Mi do da fare con le pulizie, ma dopo aver pulito casa più volte, fatto giardinaggio, lavato, stirato… arriva il momento di soffermarsi a pensare. Alle volte ti prende quel brividino lungo la schiena, legato alle emozioni e subito scatta il meccanismo di misurarsi la temperatura corporea, un controllo d’obbligo per noi sanitari, anche perchè purtroppo tutti noi siamo a conoscenza di colleghi contagiati (oltre 600 in Lombardia, secondo l’Ansa) e di quel che è successo all’operatore del 118 di BG, che lavorava nella SOREU delle Alpi, la nostra SOREU…chissà quante volte abbiamo sentito la sua voce al telefono…. Ciao Diego.
La paura di contagiare i famigliari, i propri figli, genitori è inquietante, tantissimi medici ed infermieri, se ne hanno avuto la possibilità, si sono rifugiati in altri appartamenti oppure vivono in casa indossando mascherine e dormendo in camere separate. Io, vivendo da sola, non rischio di contagiare nessuno, però a casa mi sento impotente: vorrei essere là, sempre a fianco dei miei colleghi e questo mi fa capire ancor di più il vero significato di lavoro d’équipe e di come realmente “l’unione fa la forza”!
Al lavoro quando si è a contatto con pazienti infetti siamo bardati come degli astronauti. Nelle rianimazioni si lavora ininterrottamente per 4 ore (il tempo di durata del filtro della maschera facciale) e in quelle 4 ore non si può bere, fare pipì, si suda e ci si muove con difficoltà! Dopo 4 ore una breve pausa e poi si ricomincia per le successive 4 ore (anche la turnistica lavorativa è stata modificata per utilizzare al meglio i DPI senza sprechi). Col passare dei giorni l’uso continuo di questi DPI (che per essere efficaci devono aderire al volto) lascia i suoi segni sul volto dei nostri ragazzi con le pelli più delicate. Certo, abbiamo cura di non sprecarli, perché i DPI non sono riutilizzabili… Anche questo pensiero diventa un macigno per le nostre menti, perché mancano le scorte.
Essendo così coperti con mascherine, cuffie, camici cerati, visiere non riusciamo più a riconoscerci e vengono a mancare le basi della comunicazione, difficile la verbale, impossibile la non verbale; ormai c’è l’abitudine a inizio turno di scrivere il proprio nome e ruolo col pennarello sul camice. E se questo è pesante da accettare per noi, pensiamo al malato, che è sempre e comunque al centro delle nostre attenzioni: dal momento dell’accoglienza in Pronto Soccorso viene allontanato dalla famiglia, privato di ogni bene personale, viene curato da degli astronauti che non hanno neppure il tempo di scambiare due chiacchiere (ricordo che l’umanità è sempre stato il fulcro del nostro ospedale)….. e per finire, potrei aggiungere, viene anche temuto dai suoi compaesani.
Vorrei poter condividere lo slogan che andrà tutto bene, ma purtroppo per alcune famiglie questo motto già non vale più; a loro sono indirizzati spesso i miei pensieri e sempre a loro voglio mandare il mio più caloroso abbraccio virtuale! Siamo in un periodo dove la sofferenza è ulteriormente esasperata: i malati si trovano in ospedale da soli, senza poter ricevere visite; i parenti ricevono informazioni di vita o di morte attraverso un telefono; e quando capita che qualcuno non ce la faccia, oltre al dolore del lutto in sé, si somma il dolore associato all’impossibilità di poter dedicare al nostro caro il saluto che merita: la mancanza dei funerali che nella nostra cultura permettono di vivere il cordoglio e avvicinano l’intera società credo che abbia delle ripercussioni psicologiche importanti.
E per finire rivolgo a tutti, ai tanti amici atleti, sportivi, che si tengono in forma con l’allenamento quotidiano e con la sana alimentazione… vi esorto a ricordare che mai come in questo periodo non dobbiamo pensare alla salute individuale ma alla salute della collettività. Io sono la prima ad aver bisogno di sfogarmi con una bella passeggiata per respirare a fondo l’aria pura delle nostre montagne, ma…
RESTATE A CASA VOI CHE POTETE.
Sempre fiera del mio lavoro, vi abbraccio tutti.
- 3 viste