“I SENTIERI DELLA MEMORIA. TOPONIMI DELL’ALTA VALLE DELL’ADDA” DI DON REMO BRACCHI
Come coniugare poesia, scienza, dialetto e curiosità linguistiche tutto insieme? La risposta la trovate nell’ultimo lavoro di don Remo Bracchi “I sentieri della memoria. Toponimi dell’alta valle dell’Adda” edito dalla Società Editrice Romana, non una semplice raccolta di nomi bensì un componimento accurato e suggestivo in cui i temi legati alla nostra terra – trasmessici proprio dai toponimi – si intrecciano e si dipanano in un continuum dagli albori fino ad oggi. Don Remo ci rimanda ad un mondo in cui il toponimo aveva una sua funzione precisa, non tanto quella di indicare una località quanto di rappresentare un dato, un concetto, un ufficio, un soprannome o anche solo un ambiente naturale. Accanto a nomi il cui significato è ormai noto (si pensi ad esempio al toponimo Bormio) don Remo ne affianca altri di meno facile interpretazione (Li Cumàna a Piatta; Parìs a Madonna dei Monti…); per alcuni la spiegazione rimane sfuggente e incerta (Buràt, le case sopra Piazza; Cancano; Macoggia), per altri è limpida e sin troppo facile (Feleit, Reit, Bedogné…). Vi sono denominazioni che rivelano un macchinoso processo di trasformazione che rende quasi impenetrabile leggere l’attuale significato se non attraverso lo spoglio delle carte d’archivio (ad esempio Piazzistuolo, derivato da Prasanstéven); in altri casi è facile incorrere in svarioni interpretativi dettati da una certa leggerezza nell’accostare il dialetto alla lingua italiana: è il caso della località Plan dell’Agnè, che intuitivamente si potrebbe rendere come “Piano dell’Agnello” mentre è riconducibile all’etimo di “Agnè” o “Agnèda” e quindi traducibile con “Piano dell’Ontaneto”. Ogni pagina è un viaggio alla scoperta delle nostre radici e della bellezza del nostro territorio; il rigore scientifico dell’apparato linguistico – infatti – è stemperato dalla vena poetica circonfusa tra le righe, dalle descrizioni naturalistiche, dalle suggestioni evocate dalle parole: Dove si apre la Šclàpa de li štrìa, la spaccatura delle streghe, le ombre si addensano come per sentirsi più compatte e la luce non canta più con la sua voce dispiegata. Sulla parete che, alla sera, diventa rosea come la carne viva di un bimbo, una ferita tenebrosa che non si rimargina, qui la liscia muraglia non rimanda l’eco della valle. Le sillabe si frantumano e si ricompongono in disordine, formando leggende confuse. Un nome più giusto non si poteva scegliere per lo scoglio di roccia nato dall’erba. Scianno…. Nel corso dei secoli i legami lingua-territorio si compongono e si sfilacciano, talvolta si cancellano, ma nei toponimi resta un segno inconfondibile di questa trama ed essi possono diventare un prezioso archivio della memoria. Basti pensare al cognome Sambrizzi, che connotava un lembo di terra poco oltre il ponte del Diavolo, (completamente cancellato dall’alluvione del 1987), dove sorgeva una piccola chiesa dedicata a San Brizio. Ebbene, la memoria di questo toponimo rimane ora soltanto nel cognome Sambrizzi, che in origine indicava un eponimo non più ricordato da nessuno (eponimo = colui che dà il nome a una città, a una gente, a una famiglia).
Il volume di don Remo fa sì che i toponimi ci parlino e ci raccontino la nostra storia; per tutti coloro che la vogliono scoprire non resta che leggerlo. Il libro è disponibile presso il Centro Studi Storici Alta Valtellina (via Roma 1 – Bormio) al prezzo speciale di 23 € per i soci.
Anna
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