CESARE RINI: UN ARTISTA BORMINO CHE NON DOBBIAMO DIMENTICARE

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CESARE RINI: UN ARTISTA BORMINO CHE NON DOBBIAMO DIMENTICARE

Gio, 02/02/2017 - 16:34
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Attualmente sono state censite circa 300 opere che verranno rese disponibili sul sito dedicato

Ci sono figli della nostra terra che – nonostante le loro eccellenti qualità e le opere che hanno svolto in vita – vengono completamente dimenticati o trascurati, con sensibile danno per l’immagine stessa del paese. Cesare Rini è indubbiamente uno di questi.
Figlio del famoso sindaco di Bormio cav. Pietro Rini e di Ambrosina Colturi, Cesare nasce nel 1877 e per mantenersi fa l’agricoltore. Tuttavia nel suo animo alberga una scintilla, il germe di quella brillante attività artistica che lo porterà a diventare un apprezzato scultore, autore dell’altare maggiore della chiesa parrocchiale di Bormio e di una quantità innumerevole di opere, anche se molte sono andate perdute. Attualmente ne sono state censite circa 300, che verranno rese disponibili sul sito appositamente dedicato (www.cesarerini.com): si tratta di una pagina web aperta ai contributi di chiunque potrà reperire qualcosa inerente alla vita e all’attività di Cesare Rini, dal momento che una buona parte del suo patrimonio risulta frammentato tra la numerosa e variegata discendenza.

La mostra inaugurata mercoledì 6 febbraio 2017 presso la sede della Banca Popolare di Sondrio in via Roma a Bormio, vuol essere il primo passo verso la riscoperta di questo artista, che per inseguire il suo sogno si era trasferito a Brera, sostenuto affettuosamente dal padre Pietro, che periodicamente gli scriveva esortandolo a proseguire nello studio ma senza tralasciare le tradizioni proprie dei riti familiari (come le letture mattutine o serali dei testi sacri); a Milano Cesare avviò un percorso di apprendimento e di produzione figurativa del tutto personale, che lo portò ad eccellere soprattutto nell’ornato e nell’intaglio: molti gli schizzi, i disegni e i gessi prodotti in questo fervido periodo di studio (1906-1907), alcuni dei quali si possono ammirare nella mostra.
La visita, infatti, è stata suddivisa in tre sale, che rappresentano idealmente alcune fasi della vita e della produzione artistica di Cesare Rini: all’ingresso un albero genealogico e qualche vecchia fotografia raccontano la storia del ceppo familiare; accanto vi è stata collocata una cassetta con gli attrezzi del mestiere, gli scalpelli recuperati dal figlio Pietro a distanza di 25 anni. Seguono le tre sale in cui si possono ammirare documenti, disegni, schizzi di prova, dettagli esecutivi, progetti di opere e progetti di arredi (talora comprensivi di annotazioni metriche per la falegnameria) che rivelano non solo la tecnica e l’estro dello scultore, ma anche i raccordi tra la sua attività artistica e la sua vita bormina come, ad esempio i premi guadagnati nelle varie Esposizioni bovine (l’agricoltura, infatti, resterà sempre un cardine della famiglia Rini).
cesare-rini_00Tra i pannelli emergono delle vere “chicche”: il monumentale schizzo per il progetto dell’altare maggiore della Collegiata bormina e il disegno del relativo basamento (quello originale, che Cesare portava con sé durante le fasi della costruzione, srotolandolo a più riprese) oppure una foto della cosiddetta “sala Rini”, la bellissima stua da lui ideata e intagliata e tuttora esistente nell’attuale casa Pedranzini in via De Simoni, dove quasi tutti i discendenti Rini si sono sposati. In un armadio è conservata una statua di Madonna, una delle tre che Cesare donò a ciascuna delle sue figlie (due delle quali sono già state recuperate, la terza manca ancora all’appello).
E ancora, il tema scolastico di Rosina, nipote di Cesare, che ci narra con tutta la semplice verità dei bambini la storia dell’altare maggiore della chiesa dei SS. Gervasio e Protasio: commissionatogli nel 1935, venne approvato dalla curia di Como e sostenuto finanziariamente dall’industriale Fiocchi, amico di Cesare, a condizione che sul basamento “ci fossero le statue di Santa Barbara, protettrice della polvere da sparo, e di Sant’Eustachio protettore dei cacciatori”. Il diploma di Brera fa bella mostra di sé nella sala dedicata ai lavori eseguiti all’Accademia di Milano: Cesare ne doveva essere fiero, tanto che nella sua scheda anagrafica comunale, la dicitura “Professione o condizione”, viene rettificata a mano da “agricola” a “scultore in legno” (sebbene – come si è detto – Cesare non abbandonò mai l’agricoltura). Anche in età ormai pensionabile, la passione che lo aveva accompagnato tutta la vita trovò modo di dispiegarsi grazie all’attività di insegnamento nelle scuole di via S. Barbara, dove in orario serale addestrava i giovani a lavorare il legno. L’ampliamento e la divulgazione della conoscenza, infatti, resteranno uno dei suoi principi essenziali, per non incorrere nella dispersione del sapere raccolto, della pratica acquisita, della cultura conquistata. Così Cesare realizzò opere su opere, per committenti privati, per ecclesiastici, per la famiglia o anche solo per diletto: una sterminata produzione che non sempre gli fu riconosciuta.
Emblematico il caso della “S. Lucia Bormina”, una statua della Madonna conservata nella chiesa di S. Lucia e attribuita a un generico “Maestro Bormino”: si deve al ricordo dei discendenti la riassegnazione di quest’opera alla produzione di Cesare Rini. Proprio il tessuto famigliare è risultato indispensabile sia perché il novecentesco “laboratorio Rini” potesse lavorare in piena attività sia per poter procedere – secoli dopo – nella ricerca del materiale disperso. Pietro, Luigi, Giuseppina, Rosa, Maria, Fausto, Ferdinando non sono stati solo i custodi della memoria del padre, ma hanno contribuito fattivamente alla sua attività: “La testimonianza della figlia Rosa raccolta anni fa e tuttora presente nei ricordi della famiglia, ci fa dire che padre e figlia procedevano di comune accordo al processo preparatorio per le diverse fasi”, così come il fratello Pietro rifiniva i singoli pezzi lavorati con un lavoro d’intaglio e cartavetratura (egli stesso diventò poi un intagliatore seguendo le orme del padre).
A tutt’oggi anche il pronipote Mario Rini, già allievo di Pietro, si diletta nell’attività d’intagliatore realizzando arredi per la propria dimora e proseguendo nel solco dell’avo. Attualmente la collezione dello scultore bormino risulta ancora parziale e incompleta: l’obiettivo dei discendenti, e nella fattispecie dal pronipote Cesare, è quello di arrivare a un censimento dell’intero corpus artistico prodotto da questo artista, talentuoso ed estroso al tempo stesso; probabilmente la vena creativa si amalgamava con quella bizzarria che gli derivava dall’appartenere ai “Mat de l’Eira”, lo scotum della sua famiglia. A noi contemporanei il compito di assicurare che questo patrimonio venga riscoperto e divulgato e che la figura del maestro Cesare Rini esca dall’oblio dei tempi; la mostra è un primo passo in questa direzione. Un ringraziamento particolare alla Banca Popolare di Sondrio e alla sensibilità del suo direttore, che ha concesso la disponibilità delle sale per questo progetto, che non sarebbe stato altresì possibile senza l’aiuto dell’archivista comunale Lorenza Fumagalli. L’apertura viene garantita dalle studentesse dell’ITC di Bormio, grazie a una convenzione tra il comune di Bormio e l’Istituto Alberti.

Anna

La mostra è aperta fino al 1° marzo 2017

  • lunedì – venerdì 14,00 – 18,30
  • sabato 9,00 – 12,30 e 14,00 – 18,30

 

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