PIETRO PEDRANZINI, UN EROE BORMINO CHE HA SEGNATO LA NOSTRA STORIA
Il nome di Pietro Pedranzini costituisce sempre un forte richiamo per tutti i Bormini, forse perché evoca nell’immaginario scene di un eroismo ordinario, quasi alla portata di tutti, ma non per questo meno epico e leggendario. La sala riunioni della “Stua Granda” era colma di gente pronta ad ascoltare l’ennesimo omaggio nei confronti di questa figura che tanto ha segnato la storia del Bormiese, non solo per la sua famosa impresa condotta durante la guerra di indipendenza del 1866, ma anche per il ruolo pubblico successivamente ricoperto e certamente anche per le sue doti umane. Alla presenza di numerosi discendenti (tra i quali la guida alpina Erminio Sertorelli) e di un nutrito gruppo di rappresentanti delle istituzioni (il sindaco di Bormio Roberto Volpato con i due assessori Claudia Biondi e Giuseppe Rainolter, nonché il sindaco di Cesano Boscone Simone Negri, anch’egli accompagnato da due assessori) la serata di martedì 12 luglio è stata condotta con garbo e competenza dall’ing. Franco Visintin, da Cristina Pedrana-Proh e da Leo Schena in merito ad alcuni aspetti delle vicende legate al 1866 e all’iniziativa militare che portò il Pedranzini a sventare un possibile attacco austriaco dal versante della Valle del Braulio. L’ing. Visentin, presidente dell’Associazione Valtellinesi a Milano, fornisce all’uditorio un inquadramento generale della situazione italiana e austriaca nel periodo delle guerre di indipendenza, con particolare riferimento a quella del 1866, quando i fermenti rivoluzionari introdussero l’Italia nel gioco di quelle grandi potenze che fino ad allora l’avevano considerata una semplice “espressione geografica”. L’impresa del Pedranzini è nota: nella notte dell’11 luglio 1866 si reca con un pochi valorosi volontari sulle pendici della Reit e da qui sino in cima al passo che oggi porta il suo nome. Quindi ridiscende da solo il versante di Glandadura e costringe alla resa un drappello di austriaci, colti di sorpresa dall’audacia, dalla fermezza e naturalmente dal coraggio del nostro luogotenente. A distanza di 150 anni questa azione conserva ancora tutto il suo fascino e la sua grandezza, probabilmente perché si trattò non solo di un atto militare, ma soprattutto di una straordinaria impresa alpinistica condotta con i rudimentali mezzi a disposizione, con tanta determinazione e in condizioni ambientali molto diverse rispetto a quelle attuali (basti pensare che il lato nord del versante era occupato da una piccola vedretta glaciale che rendeva la discesa certamente più insidiosa). Pietro Pedranzini comandava il reparto locale della Guardia Nazionale, un corpo non militarizzato dipendente direttamente dai sindaci o dalle autorità locali che svolgeva operazioni di difesa e di mantenimento dell’ordine pubblico. Nella caotica situazione del 1866 egli si trovò ad operare a stretto contatto con figure che – a diverso titolo – agivano nello stesso settore e con le stesse finalità; tra queste spiccano Enrico Guicciardi (comandante della Legione Mobile di Valtellina), Innocenzo Regazzoni (ufficiale medico al servizio della Guardia Nazionale) e Angelo Umiltà (volontario dei Bersaglieri), i quali raccolsero le loro memorie tracciando un quadro nitido di quell’epoca sotto vari punti di vista: militare, civile, sanitario, urbanistico e paesaggistico. Il medico Regazzoni, in particolare, si occupò di organizzare un servizio infermieristico ed ospedaliero, che funzionava egregiamente seppur in forma assai primitiva. La sua relazione è una testimonianza preziosa sulle condizioni igieniche, sulle malattie, sui metodi sanitari, ma anche sull’umanità delle persone che emerge nonostante le nefandezze della guerra, come confermato dagli attestati di ringraziamento ricevuti dagli Austriaci per l’assistenza prestata indistintamente ad ogni soldato. Certamente tutti costoro conobbero il valore di Pietro Pedranzini ed ebbero modo di apprezzarne le qualità. Ancora ai giorni nostri emergono aneddoti che rivelano chiaramente la tempra cristallina di quest’uomo, ad esempio l’episodio dell’ospitalità nella sua casa di Bormio che egli offrì al sergente austriaco da lui stesso fatto prigioniero, segno di rispetto per colui che considerava un uomo prima ancora che un soldato nemico. Anche l’operazione alpinistica-militare, in sé stessa, rivela il carattere vigoroso e robusto del Pedranzini; non solo si occupò di preparare ed organizzare l’incursione, ma non esitò a concluderla tutta da solo dopo che i suoi compagni si erano arrestati a metà percorso. Immaginiamo lo scorno (ma anche l’ammirazione) degli Austriaci quando seppero di essere stati fatti prigionieri da un solo soldato! La rievocazione di questi fatti rinsalda il senso di orgoglio e di appartenenza di tutta la nostra comunità, a cominciare dai suoi discendenti che ancora conservano i cimeli del famoso prozio (ad esempio la pesante carabina svizzera utilizzata proprio nel 1866). Il nostro compito, quindi, non può esser altro che quello di mantenerne vivo il ricordo.
Anna Lanfranchi
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