ALLE ORIGINI DEL CICLISMO
martedì 22 Agosto, 2017
Il museo della bicicletta di Soresina si è presentato lunedì 21 agosto 2017 nella sala Stua Granda a Bormio, un richiamo per tutti i turisti e i residenti di un comprensorio in cui la bicicletta è diventata un elemento vitale dell’economia locale. Alfredo Azzini, con il figlio Carlo, hanno accompagnato il pubblico in un viaggio lungo la storia del velocipede, dai primissimi prototipi (la draisina) sino alla nascita delle corse epiche come il Tour o il Giro d’Italia. Circa due ore di conferenza per condensare 200 anni di storia, raccolti scrupolosamente dagli Azzini in un museo privato che comprende oltre 180 mezzi esposti, 10 sezioni tematiche, la ricostruzione di un’officina meccanica e un’esposizione vastissima di biciclette e velocipedi (da corsa, da lavoro, da bambini, da bersaglieri, bici a cardano, bici con freni a rovescio, tricicli da corsa e una wunderkammer con le principali curiosità in tema di biciclette). Le conoscenze del grande pubblico – solitamente – si fermano all’epoca di Bartali-Coppi, ormai mitizzata e divenuta l’archetipo di ogni sfida ciclistica. In realtà la bicicletta ha origini antiche che risalgono agli inizi dell’Ottocento: addirittura Alfredo Azzini cita la data precisa del 21 agosto 1817 per indicare la nascita vera e propria di questo veicolo, quando un barone del Baden Wurttemberg inventa il primo esemplare. Per molti decenni, tuttavia, questo modello primitivo resta relegato a ruolo di passatempo e “divertissement” per la ricca aristocrazia; d’altronde lo stato miserevole delle strade e una certa scomodità (mancavano del tutto i pedali e non esistevano né catena né copertoni, ma solo un rudimentale telaio di legno o ferro) non lo rendevano un mezzo di trasporto indispensabile. Dalla metà del XIX secolo, invece, l’evoluzione delle tecniche costruttive contribuisce a rendere la bicicletta più adatta all’uso quotidiano e inizia anche la sua produzione e commercializzazione su vasta scala ad opera della ditta francese Michaux: tra 1867 e il 1869 ne vengono prodotte cinquanta al giorno, che poi raddoppiano per arrivare a circa 600 alla settimana! Nascono i primi club ciclistici e le prime grandi classiche come la Liegi-Bastogne-Liegi o la Parigi-Roubaix in cui si correva con bici appositamente fabbricate per la corsa, dotate di un’enorme ruota davanti e una piccola dietro (quelle che si vedono nelle fotografie classiche di fine Ottocento). A fine secolo anche l’Italia entra in gioco grazie al giovane Edoardo Bianchi, un martinitt che apre la sua prima officina meccanica e riesce a farsi un nome tanto da diventare il fornitore ufficiale di Casa Savoia, in onore della quale dipinge le bici in turchese (colore che tuttora identifica la Bianchi). La ditta di Edoardo Bianchi ebbe poi grande fama grazie a GF Tommaselli e a Luigi Masetti. Il primo, un bresciano di Dello operaio alla Bianchi, vinse il Grand Prix di Parigi attribuendone il merito alla bicicletta prodotta dalla sua ditta; il secondo, uno dei più grandi pedalatori del mondo misteriosamente eclissatosi dopo imprese leggendarie, si inventò una traversata transoceanica Milano-Chicago in sella a una Bianchi e fu sostenuto in questa epica impresa dal Corriere della Sera, che ne seguiva e pubblicava i resoconti: si trattò del primo grande evento mediatico del Belpaese e la risonanza fu tale che ne parlarono in tutto il mondo. Parallelamente, sull’onda dell’entusiasmo per le avventure sportive ciclistiche, nascevano il Tour de France e il Giro d’Italia e da qui hanno inizio le grandi sfide tra i corridori che ancora oggi tutti noi celebriamo. Il Museo della bicicletta di Soresina ci svela tutto questo e molto di più: merita senz’altro una visita, soprattutto da parte di chi ama e pratica uno sport attraverso il quale sono state scritte pagine di storia memorabili.
Anna
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