I 40 ANNI DELLA FAMIGLIA ALBERTI AL TIMONE DEL RIFUGIO CASATI-GUASTI
La vita a 3269 metri, ben pochi sanno cosa significhi: la maggior parte della gente arriva a quelle quote e la sera torna ai conforti della propria casa, mentre chi abita quotidianamente a quelle altezze può ben dire di vivere in un avamposto: l'ultimo prima delle vette perenni, l'ultimo prima del nulla ghiacciato, l'ultimo prima del cielo.
Il rifugio Casati-Guasti è uno di questi, uno degli innumerevoli che popolano l'arco alpino e uno degli innumerevoli in cui i custodi si dannano per portare avanti una tradizione che non è solo un servizio, ma anche una vocazione, perché per gestire un rifugio come la Casati bisogna essere un po’ santi e anche un po’ eroi. Se poi si riesce a farlo per addirittura 40 anni di seguito, beh allora la vita del rifugio diventa quasi un’epopea da raccontare, con tutti gli aneddoti, le curiosità, le emozioni e le soddisfazioni che questa sa regalare.
La famiglia Alberti (Renato con Laura e il figlio Stefano) ha voluto suggellare questa ricorrenza con una giornata speciale in alta quota aperta a tutti, per far conoscere qualche retroscena dei loro 4 decenni al timone del rifugio Casati e per presentare la piccola pubblicazione che li ha raccolti (“40 anni fra roccia e ghiaccio”, scritto da Andrea Palomba). Una S. messa in quota, la proiezione di vecchie foto e la spaghettata del centenario (la Casati fu costruita nel 1922): una giornata all’insegna dei ricordi e delle emozioni.
Renato e Laura, giovani sposi, si fanno carico della gestione nel 1982 e da allora hanno vissuto qui le loro stagioni lavorative e familiari, legati indissolubilmente alla montagna, alla quale hanno dedicato energie nella consapevolezza di rappresentare sempre un approdo sicuro e confortevole per ogni alpinista, da quello più esigente al semplice camminatore della domenica. Stefano, nato nel 1987, ha respirato sin da bambino la vita del rifugista e l’ha talmente interiorizzata da emozionarsi anche al solo parlarne; segno di grande sensibilità e attaccamento al proprio mestiere, più forte di ogni difficoltà e di ogni sacrificio. Perché di sacrifici, anche se non ne parlano troppo, gli Alberti ne hanno fatti eccome! Vivere a 3269 metri di quota richiede una buona dose di adattamento e di iniziativa, significa occuparsi ogni giorno della manutenzione essenziale per non restare senza acqua (uno dei problemi maggiori che affligge la Casati), significa fare attenzione anche ai gesti più semplici, come ad esempio tagliare il pane, per non farsi male (non c’è il pronto soccorso disponibile), significa occuparsi degli ospiti con attenzione (talvolta anche tenendoli d’occhio sulle vette…), significa provvedere alle piccole/grandi riparazioni causate dall’irruenza della montagna, significa percorrere in lungo tutta la val Cedec per ogni approvvigionamento (e dalla Casati fino a S. Caterina sono circa 25 km!).
«I rifugi come questo, classificati di categoria E, sono i più difficili da gestire – riconosce Riccardo Giacomelli della Commissione Centrale rifugi del Cai – e per questo non possiamo che ringraziare chi li porta avanti con impegno, sforzi e abnegazione, lavorando nel silenzio per far sì che queste strutture siano a disposizione di tutti».
Il Sindaco di Valfurva Luca Bellotti è legato a doppio filo con la Casati (è fratello di Laura e zio di Stefano) ed è perfettamente addentro i problemi che si annidano in una vita del genere. Per questo chiede rispetto: «Ci vuole rispetto per la montagna, che non è un parco giochi né un cuscinetto dove rilassarsi dai disastri della metropoli. E non accetto le critiche gratuite che a volte mi capita di sentire, perché conosco bene i sacrifici che fanno i gestori di rifugi: bisogna solo ringraziare le persone come loro, che hanno a cuore la montagna e spero che il Cai capisca la necessità di supportarli con le riqualificazioni strutturali necessarie per portare avanti la loro attività».
Presente anche il Sindaco di Bormio Silvia Cavazzi, che ha elogiato il lavoro della famiglia Alberti come «custodi dell’ambiente della montagna», permettendo al nostro territorio di offrire esperienze importanti anche a quote così difficili.
Il capofamiglia Renato Alberti non si sottrae a qualche ricordo: «L’inizio non è stato dei più promettenti, poiché appena avute le chiavi e aperta la porta del rifugio, trovai il soffitto della sala crollato a causa di una bufera. Pian piano sistemammo tutto e cominciò la nostra avventura, tra momenti belli e brutti. Sicuramente il problema più grande è l’acqua. I primi tempi si faceva semplicemente sciogliere la neve, poi si portava su dal basso con bidoni di 30 kg, poi abbiamo cercato delle alternative e finalmente trovammo una sorgente, ma ancora oggi teniamo costantemente monitorate sia la sorgente che le tubazioni idriche perché sono molto delicate e ogni volta che cambia la temperatura bisogna invasare e svasare sennò la pompa può scoppiare. Un altro ostacolo grosso sono le slavine, perché ogni inizio stagione dobbiamo fare dei buchi per ritrovare la sorgente d’acqua e spesso questo richiede molti sforzi per la presenza di neve caduta con le slavine».
Insomma, la visione romantica della vita del rifugista è decisamente meno attraente quando ci si rende conto in prima persona delle difficoltà che essa esige; solo pochi eletti riescono a sostenerla perchè – come dice Stefano con l’emozione trattenuta a stento – «serve tanto cuore, passione e spirito di sacrificio, serve rimboccarsi le maniche e sentire la struttura come la propria casa».
Ecco, per capire veramente cos’è quel qualcosa che spinge un rifugista a scegliere la sua vita, vi basterà leggere le poche appassionanti pagine del libretto.
Anna
"Rifugio Casati 3269. 40 anni fra roccia e ghiaccio", per informazioni:
0342 1856578
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