La gogna: sberleffi e disonore per punire i reati
In tanti, forse, al giorno d’oggi auspicherebbero un ritorno alla gogna per punire i colpevoli di crimini minori, nella speranza che la vergogna li faccia desistere da ulteriori malefatte… Come ovunque, anche a Bormio esisteva la gogna e ne restano ancora le tracce sul pavè di piazza Kuerc, lato ovest; essa fu abbattuta dal vituperato conte Galeano Lechi nel 1799, in un impeto di furia libertaria che inneggiava agli ideali della Rivoluzione Francese e che – fatalmente – gli costò la vita.
Gianni Sala ricostruisce l’uso della gogna, anche dal punto di vista linguistico, sebbene senza certezze definitive (alcune ipotesi: da “gonghia”, da “ver-gogna”, da “ungo”, da “agone”).
In base alle disposizioni statutarie, alla gogna erano condannati i bestemmiatori, i ladri (per reati minori e alla prima condanna) e i falsificatori e la sua messa in opera era uno spettacolo che attirava tutta la popolazione, anche per le innumerevoli possibilità di sottoporre il malcapitato a sberleffi e umiliazioni di ogni genere.
Anche gli Statuti di Valtellina – così come quelli delle varie comunità locali – prevedevano una casistica di reati per i quali la condanna era la “catena pubblica” e la punizione non risparmiava nemmeno uomini famosi: lo scrittore Daniel Defoe fu sottoposto al ludibrio a causa di un libercolo che sbeffeggiava il governo e compose addirittura dei versi inneggianti a tale strumento (“The hymn to the pillory”), parzialmente riportati in appendice al contributo dell’autore.
G. SALA, E il medioevo inventò la gogna, Bollettino n. 13/2010
http://www.cssav.it/wp-content/uploads/2017/02/Bsav-13-Sala.pdf
Foto: Robert Chambers, Book of Days
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