Il progetto “Tataricum”: dalla tutela della agrobiodiversità alla…birra!
Valdisotto-Bormio (Sondrio) febbraio, 2024 - Riscoprire e valorizzare varietà di specie autoctone, poi abbandonate negli anni a favore di altre con maggior resa e facilità di utilizzo, ma anche più “fragili” rispetto ai mutamenti climatici; allo stesso tempo, riuscire a favorire l’economia e l’occupazione sociale locale, contrastando lo spopolamento delle valli alpine.
Questi i molteplici scopi del progetto “Tataricum”, realizzato da SO.LA.RE.S. Cooperativa Sociale in collaborazione con Bicocca, Fondazione Fojanini e con il contributo di Fondazione Cariplo, attraverso il recupero di terreni abbandonati in Alta Valtellina. La loro coltivazione con varietà autoctone di grano siberiano, si propone di contribuire al processo di tutela delle agrobiodiversità con metodi eco-sostenibili coinvolgendo la Cooperativa Sociale SO.LA.RE.S., rendendola parte integrante della ripresa di un’economia di montagna attenta alle tematiche ambientali e sociali.
A tale proposito, abbiamo chiesto al responsabile del progetto, professor Rodolfo Gentili del gruppo di ricerca del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra-DISAT, come è nata l’idea del progetto “Tataricum”, come si è svolta la ricerca e, soprattutto, a quali risultati ha portato.
<<L'idea del progetto, finanziato da Fondazione CARIPLO, nasce in quanto il nostro gruppo di ricerca in botanica si occupa - da diversi anni - della riscoperta e della valorizzazione di varietà locali di specie vegetali di interesse alimentare. È noto che numerose specie agrarie hanno subito in tempi recenti il fenomeno dell'erosione genetica; questo ha portato moltissime varietà locali ad esser rimpiazzate da varietà commercializzate su larga scala e geneticamente uniformi, caratterizzate da facilità di utilizzo ed elevate rese. Tuttavia, sono spesso più soggette ad attacco di patogeni e minore tolleranza allo stress ambientale come quello legato a periodi siccitosi e con elevate temperature>>.
<<In questo ambito, il nostro gruppo ha lavorato a ricerche sulla caratterizzazione genetica di varietà locali di grano saraceno della Valtellina, assai famoso per la produzione di piatti tipici quali pizzoccheri, polenta e biscotti. E’ emerso che, oltre il grano saraceno (Fagopyrum esculentum), fino a fine '800 - inizio '900, veniva coltivato anche il grano tatarico o siberiano (Fagopyrum tataricum), parente del primo ma di cui in seguito si erano perse le tracce. Da qui è nata l'idea di valorizzare questa antica coltura e l'azienda agricola Raetia Biodiversità Alpine ha fornito i semi>>.
<<Una volta valutato il potenziale agronomico da parte della Fondazione Fojanini, ente di ricerca valtellinese, la Cooperativa SO.LA.RE.S ha messo in coltura il grano tatarico locale selezionato (zona Valdisotto – area bonificata e situata sotto lo sperone roccioso della chiesa di San Bartolomeo de Castelaz), dando il via alla sua produzione in ex incolti abbandonati, recuperando terreni coltivabili attraverso agricoltura sociale impiegando persone svantaggiate>>.
Questa tipologia di grano ha delle peculiarità nutrizionali specifiche?
<<Il grano tatarico è ricco di flavonoidi, che hanno ricadute positive sulla salute umana essendo potenti antiossidanti. Tali composti sono già ampiamente utilizzati per migliorare la microcircolazione, la funzione respiratoria e per rallentare l'invecchiamento cellulare.
Grazie al sapore amarognolo le sementi di grano tatarico coltivate nel progetto, sono state utilizzate nel processo di birrificazione in collaborazione con il Birrificio Reit di Bormio (Claudio De Monti) per produrre la birra "Tataricum". Trattasi di una “Schwarzbier”, dal basso grado alcolico ma con alto valore nutraceutico che prende il nome scientifico della specie di grano, presentata nel corso dell'evento conclusivo del progetto a Bormio lo scorso 19 gennaio 2024>>.
Qual è la storia del grano tataricum e perché era stato "dimenticato"?
<<Il grano tatarico fu probabilmente importato insieme al grano saraceno in Italia e in Europa dalle zone di origine, in Cina centro-meridionale, durante il medioevo, attraverso la via della seta. Dalla metà del XVI secolo si hanno notizie della coltivazione di tali specie in Lombardia e Valtellina dove le colture riscuotono ampio successo e diventano parte integrante del patrimonio agricolo alpino. In primis, il grano saraceno era coltivato nei bassi versanti della bassa Valtellina mentre il grano tatarico, specie più rustica e resistente, era coltivato su terrazzi più impervi e con suoli poveri ad alta quota, sino oltre 1200 m, nella Contea di Bormio. Entrambe le specie per secoli hanno sfamato e supportato le popolazioni di montagna nelle Alpi soprattutto in Lombardia e Valtellina. Con l'avvento dello sviluppo industriale inizia il progressivo abbandono dell'agricoltura di montagna, soprattutto ad alta quota. Pertanto, a partire dagli inizi del XX secolo, in Italia si perde traccia del grano tatarico, che in tempi recenti a più basse quote veniva addirittura considerato una pianta infestante delle persistenti colture di grano saraceno, anche per il fatto che il grano tatarico ha un sapore leggermente amaro al palato>>.
Ufficio Stampa
SO.LA.RE.S. – Cooperativa Sociale –
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