ARCHEOLOGIA DELLE BORMIADI
Anche sulle Bormiadi si può fare archeologia. Il reperto più significativo è il programma completo dei giochi. Lo conservano gelosamente Jerry Brandalise e Luca Peretti, i due amici che hanno ideato la prima edizione delle olimpiadi autunnali nostrane.
Correva l’anno 1984 e, vuoi per il risalto mediatico che avevano avuto le imprese di Carl Lewis, ai bar non si parlava d’altro che dei giochi iridati di Los Angeles. «Festa dei crotti o sport? Iniziammo a chiederci anche noi, in cerca di qualche occasione di divertimento. L’idea delle gare atletiche infine prevalse. La novità piacque ai nostri amici ma fu condivisa anche da tanti giovani. Così – racconta Jerry - in quattro e quattr’otto organizzammo la prima edizione, sotto l’egida di un logo ambizioso: un cervo affacciato da uno dei cinque cerchi olimpici».
Grazie al passaparola e all’entusiasmo contagioso dei promotori, si iscrissero alla sfida quattro squadre: I Puffi (team dei padri fondatori), i Warrios (come il film campione d’incassi nelle sale), quelli de Mario, in omaggio al suo “presidente” De Lorenzi, gli UAV, acronimo che stava per Unione Alcolizzati Valtellinesi e che, per onor di cronaca, raccoglieva quelli che più tardi diventeranno i mitici Real Grappeggia.
Le specialità furono articolate su due sole giornate (il 15 e 16 settembre): un vero tour de force per i muscoli e per il fegato, visti i continui brindisi che intervallavano le gare. Gli atleti («forse è esagerato chiamarli così – mi corregge però Jerry – visto che a quei tempi, fatta eccezione di Silvano Barco e di Giulio Sosio che era costante nella corsa, nessuno s’allenava davvero») dovevano disputare queste discipline: il nuoto (inclusa una prova a staffetta), i 100 metri ostacoli, i 100 metri quasi piani (percorso: Sablonera – statua Walter Tobagi), il lancio del peso, il ciclismo (sulla tratta Isolaccia – Bagni), il salto in alto, la corsa campestre, il tiro al piattello, i 1500 metri e – novità assoluta - l’ottathlon, una specie di jolly che si portava a casa la squadra con il concorrente completo, in grado cioè di affrontare quasi tutte le discipline (staffette di corsa e nuoto e tiro al piattello esclusi).
«Lo spirito con cui furono affrontate le gare non fu – garantiscono i due pionieri - freddamente agonistico. Certo ci si impegnava ma quello che contava davvero era divertirsi e stare insieme facendo qualcosa di bello e di sano». Nonostante il regolamento, al punto 10, promettesse che durante la serata di premiazione “forse” sarebbero stati proiettati i filmati delle gare, non c’è nessun documento – neppure una foto - che immortala quei momenti. Gli aneddoti però non sono stati dimenticati.
La scena più divertente si consumò al tiro al piattello. «Ugo Sosio che non aveva mai sparato in vita sua riuscì, per puro caso, a centrare il bersaglio facendo meglio dell’avversario che era un esperto cacciatore. Galvanizzato dal successo, si voltò verso il pubblico che l’applaudiva ad arma spianata e con due colpi in canna. Vista la “comprovata esperienza” del cecchino, tutti gli spettatori si buttarono pancia a terra e mancò poco che il direttore di gara, Quirino Pedrana, non sospendesse tutto!!».
«A proposito di armi… io pensai bene – ricorda Jerry - di dare il via alle gare di nuoto non con un normale fischietto ma con la pistola starter dello short track, che avevo recuperato da Adelio Antonioli. Il colpo fece venir giù le Terme con un boato spaventoso!».
Visto che il reato è ormai prescritto, Jerry svela pure che Janga imbrogliò alla gara di ciclismo, facendosi trainare per un bel pezzo da un motorino. Guai se l’avessero visto i giudici di allora che, per inciso, erano pure atleti partecipanti!!! Il fair play era parola d’ordine. Anzi, in maniera un po’ più spartana ma chiarissima, il regolamento a tal proposito tuonava: “Durante lo svolgimento delle gare vige spirito olimpico. Per i più testardi vige regolamento interno”. Reclami tuttavia al bar Mulini, sede fissa del comitato organizzatore, non ne arrivarono.
L’edizione zero, conclusa con grande festa all’Hotel Daniela e con gran suonate dell’Inno d’Italia, fu infatti un successone. Per due anni tuttavia i giochi non ebbero un seguito. Nell’85 infatti i soliti amici organizzarono un torneo di ben altro taglio: le Barmiadi, una maratona di carte, flipper e altri giochi da bar che, ma senza ugual risultato, fu riproposta dai giovani (per intendersi Lele Spech e coscritti) l’anno successivo. Furono loro, quelli che nella prima edizione erano stati reclutati nelle squadre come “bocia”, a decidere nell’87 di far rinascere le Bormiadi e a dargli la forma che oggi conosciamo.
Daniela V.
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