MARCO MAJORI RACCONTA LA SUA ESPERIENZA AI PIEDI DEL GASHERBRUM IV
Quando nel 1958 Walter Bonatti e Carlo Mauri giunsero in cima al Gasherbrum IV, lungo la famosa “seraccata degli Italiani” e la successiva cresta nord-est, mai più avrebbero pensato che la loro impresa sarebbe rimasta inviolata per così tanti anni. D’accordo, il G4 non è probabilmente l’aspirazione massima di ogni alpinista (pensate che sino a oggi solo 8 persone sono salite in cima!) e non ha l’appeal di un 8000 (il G4 arriva “solo” a 7925 mt), però è una montagna che – a detta degli esperti – ha il suo fascino irresistibile. Quale occasione migliore, allora, nel 60° anniversario della salita degli Italiani, tentare di ripeterla? Ci ha provato l’Esercito Italiano con alcuni valenti alpinisti, tra i quali c’era anche un “pezzetto” di Bormio: 4 componenti, come i moschettieri, che rispondono ai nomi di Marco Farina, Maurizio Giordano, Daniele Bernasconi (un “Ragno di Lecco” e unico civile) e il nostro Marco Majori. Guidati dal capo spedizione Valerio Stella, agli inizi di giugno si sono avventurati nei meandri degli immensi apparati glaciali del Baltoro, tra spettacolari cattedrali di ghiaccio e montagne di una verticalità impressionante, con l’intenzione di replicare quella straordinaria impresa senza troppi “aiuti”: niente ossigeno, niente bombole, niente corde fisse…persino le informazioni sull’ascesa scarseggiavano, tanto che Marco si era fatto un’idea del percorso in base a un disegno tracciato nel libro di Fosco Maraini, che racconta proprio l’avventura del 1958.
Marco Majori, che appena può fa rientro tra le mura familiari di Bormio, ci racconta la sua esperienza, in bilico tra entusiasmo e sconforto, tra speranza e desolazione, tra ottimismo e disincanto. Marco fa parte dell’Esercito (Sezione Militare d’Alta Montagna) e a Courmayeur si occupa di formazione e di alpinismo. Talento sportivo da vendere fin dalla nascita, dopo aver sperimentato diverse discipline si è dedicato alla montagna, che coltiva con passione, pazienza ed umiltà. Se gli chiedi il motivo per cui hanno scelto di scalare proprio il G4, lui risponde “per la sua bellezza e la linea elegante”. Quasi come per le donne nello scegliere un vestito: non importa quanto ti costerà, importa quanto ti farà sentire bene con te stessa! La conquista di una montagna non è un palmarès da sfoggiare: è anzitutto un incontro dell’anima. Come spiegare ai “profani” cosa significa stare a 7900 metri di quota, o cosa si prova nell’essere circondati da tanta maestosità, o – peggio ancora – quanto ci si senta annichiliti di fronte all’improvvisa morte di un compagno? Pur con tutte le precauzioni possibili, la montagna è un ambiente severo e imprevedibile: uno dei compagni di Marco è stato mortalmente travolto dall’improvvisa caduta di una seraccata di 30 mc. La spedizione è stata immediatamente annullata e per tutti i giorni successivi – senza un attimo di tregua – il pensiero è stato solo per Maurizio, per riportarlo a casa…e a quelle quote – badate bene – gli elicotteri pakistani non arrivano…
Il sogno si infrange, resta solo “un grande nodo in gola ed il ricordo nitido di un compagno validissimo e determinato che è passato oltre, ma molto lascia a chi resta”.
Bene hanno fatto il sindaco Volpato e l’assessore Azzalini a presenziare alla piccola conferenza organizzata da Silvio Mevio, a cui ha assistito anche un affezionato ospite dell’albergo di famiglia, che ha visto crescere Marco fra le montagne di casa. La Magnifica Terra ha dato i natali a molti grandi alpinisti, la maggior parte dei quali lavora nel silenzio delle montagne, e Marco non solo tiene alto l’onore del territorio con le sue imprese, ma è anche un personaggio che merita di essere valorizzato.
Anna
Foto: Marco Andreola
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