“TATARICUM”: IGNAZIO BARDEA RIVIVE AL VIVAIO DI S. LUCIA

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“TATARICUM”: IGNAZIO BARDEA RIVIVE AL VIVAIO DI S. LUCIA

Sab, 29/02/2020 - 20:35
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Un progetto di reintroduzione del grano siberiano a sostegno dell'agricoltura sociale

29 febbraio 2020

La riscoperta delle nostre radici passa anche attraverso il recupero di tradizioni alimentari che un tempo erano assai affermate e che in età contemporanea si sono invece perse, sostituite da prodotto più accessibili, più facili da coltivare, più “moderni”. L’appressarsi del nuovo millennio, tuttavia, ha visto risorgere un’attenzione verso il passato come elemento vitale legato alla caratterizzazione del territorio, all’offerta di prodotti genuini, alla riscoperta di uno stile di vita più “slow”, oggi tanto ricercato. In questo contesto si inserisce un progetto sperimentale attuato dal Vivaio di S. Lucia Valdisotto denominato “TATARICUM” e incentrato sul recupero delle antiche colture di grano siberiano in Alta Valtellina.

Il grano siberiano (Fagopyrum tataricum, chiamato volgarmente anzibar, ziberia…. ) fu introdotto in Alta Valle dalla lungimiranza dello storico bormino Ignazio Bardea, che nel ’700 ne descriveva i pregi in relazione alle caratteristiche climatiche delle nostre zone alpine: resistente al freddo, vigoroso, dalla resa costante e sicura e che non necessita di insetti impollinanti. Un prodotto adattissimo alle nostre zone, ma certamente meno apprezzato rispetto al suo fratello Fagopyrum esculentum (il cosiddetto “Furmentùn”) a causa del suo sapore amaro e quindi meno gradevole nelle preparazioni gastronomiche. A ciò si aggiunga il fatto che il grano siberiano è pianta altamente infestante e come tale potenzialmente nociva per altre coltivazioni soggette al rischio di ibridazione, con conseguente perdita del loro valore autoctono. Tale cultivar, tuttavia, è al centro di interessanti studi scientifici che ne hanno evidenziato le qualità agronomiche, fitochimiche e nutrizionali e ne hanno promosso l’inserimento nel Registro Nazionale delle Varietà da Conservazione, che tutela l’agrobiodiversità in ambito internazionale. Il suo impiego risulta particolarmente interessante in campo alimentare, essendo pressoché privo di glutine e ricco di rutina (quest’ultima utilizzata negli integratori sportivi).

Il progetto “Tataricum”, con la cooperativa Solares come capofila in partnership con la Fondazione Fojanini, l’azienda agricola Raetia Biodiversità Alpine e l’Università Milano-Bicocca, è stato avviato nel 2018 e si inserisce in un contesto di riscoperta delle tradizioni locali legate all’alimentazione: da anni la piccola azienda agricola di Valdisotto semina alcuni appezzamenti con grano saraceno, che viene poi raccolto a mano, macinato e utilizzato per la produzione di biscotti, pane e farinacei. Anche le scuole e gli asili partecipano attivamente, attraverso visite guidate in cui i bambini imparano tutto il percorso della filiera, dal chicco al prodotto finito. A ben pensarci, poi, è davvero straordinario che nelle moderne aule universitarie meneghine della Bicocca, a migliaia di chilometri di distanza da Bormio, il nome e l’opera di Ignazio Bardea siano ben conosciuti e che la sua intraprendenza in campo agrario abbia lasciato un’eredità tale che ancora oggi a 200 anni di distanza viene studiata e utilizzata!

Ma c’è di più: il progetto del Vivaio si configura anche come una porta di accesso lavorativo per soggetti in situazione di vulnerabilità o di fragilità conclamata, offrendo loro una dignità e un ruolo sociale e favorendo nel contempo l’integrazione e lo sviluppo di capacità autonome; non solo coltivazione di grano siberiano (prevista su terreni ceduti da privati in comune di Valdidentro), ma una vera e propria filiera all’interno della quale i lavoratori maturano abilità e competenze proprie, dalla semina alla raccolta, dalla trasformazione sino alla vendita nel circuito della piccola distribuzione locale. L’abate Ignazio Bardea approverebbe.

 

Anna